domenica 2 marzo 2014

Mario Lavezzi - Filobus


La scelta ricadeva su di lei perché era più facile, pratico, sembrava un personaggio da fumetti aveva una mimica da vera attrice, però bisognava stare ai suoi tempi e anche ai suoi capricci, Alice in fondo era una diva. Il seggiolone giallo è stato un simbolo fondamentale, su quel seggiolone mangiava, si addormentava, giocava anche se lo studio e la casa erano grandi quanto la sala di un cinema, lì voleva stare, quello era la sua postazione dalla quale controllava ogni cosa. Una volta in casa c’erano De Andrè e Massimo Bubola e non c’era verso di farla addormentare, stava appollaiata su quel suo seggiolone, voleva essere presente, ma era tardi allora i due presero le loro chitarre e improvvisarono una ninna nanna. Ci misero un po’ ma alla fine si schiantò sul tavolino del seggiolone. Il desiderio di essere presente nella vita dello studio faceva sì che molte volte gli artisti ci dovessero giocare insieme, poi come spesso succedeva se rimanevano a pranzo o a cena, beh non c’era niente da fare li trascinava nella sua stanza ed erano sedute con i puffi o con la barbi, certo vedere Fossati giocare con la barbi non era male o Francesco di Giacomo trastullarsi nella casa dei puffi!!! 
Dovendo fare la copertina di Lavezzi “Filobus”, pensai di far fare un camioncino di marzapane che misi sul tavolino del seggiolone. 
L’immagine della copertina doveva essere divisa in quattro riquadri in ognuno dei quali Alice avrebbe dovuto mangiare un pezzo alla volta, l’intera torta filobus, non nella realtà perché avrebbe rischiato un gran mal di pancia, ma fatti i primi scatti si rifiutò di proseguire, era stanca e non si divertiva più per cui basta, quando s’impuntava non c’era nulla da fare e poi intervenne a darle man forte la Vanda. 
Le foto del retro le scattai in via Spartaco all’angolo di viale Monte Nero dove avevo lo studio. Feci fare una serie di corse a Mario per inscenare la salita sul filobus, credo anche che ad un certo punto per rendere la cosa più credibile salì ma prima che potesse scendere, l’autista chiuse le porte e partì. Tornò mezz’ora dopo. 


La mia amicizia con Mario è di vecchia data, abitavamo vicini e spesso si usciva insieme. Quando poi tornato dalla mia esperienza inglese avevo messo su lo studio e mi ero sposato con Vanda, frequentavamo un gruppo di amici comuni con la passione per la fotografia, uno era un dentista, Renato Artusi grande amico di Giulio e Lucio. Quando mi serviva un’ottica dell’ Hassemlad, visto che avevo solo il corpo della macchina,  me la facevo imprestare proprio da Renato, quegli obiettivi costavano uno sfracello e in quel periodo non avevamo una lira. Anche quando c’era da curarsi i denti, sfacciatamente ci rivolgevamo al buon Renato. 
Un anno si decise di passare la sera del capodanno nello studiolo che avevano messo su questo gruppo di amici. Fu una serata piacevole ma vicini allo scoccare della mezzanotte, Mario inventando la scusa che doveva accompagnarmi a trovare mia madre, mi trascinò fuori lasciando la sua compagna da sola con Vanda. In effetti andammo verso la mia vecchia casa, ma si fermò sotto l’abitazione di un altra sua fidanzata alla quale disse che era passato solo per fare il brindisi, doveva scappare, aveva una serata e per rendere la cosa credibile le mostrò dalla finestra la macchina con il suo collega, cioè io, che lo aspettava. Come un merluzzo rimasi in macchina per almeno un’ora. C’eravamo sposati da soli dieci giorni e il nostro primo capodanno lo abbiamo trascorso io in macchina mentre lei a casa dei nostri amici con il bicchiere in mano a rincuorare l’altra fidanzata di Mario.


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