domenica 11 maggio 2014

Il vecchio ciclista


Curvo sul manubrio la testa ciondolante e il sudore che gli strappava la fatica, saliva lento il vecchio ciclista. Spingeva sui pedali con ritmo cadenzato ed il volto era piegato a guardare la ruota che gli stava davanti. In testa aveva un cappellino di tela fradicio che gli rimaneva appiccicato alla fronte nonostante la brezza gli venisse incontro. Dalla schiena inarcata, comoda e leggiadra guardava il mondo scorrergli attorno, una sacca di tela bianca e rigonfia.
La montagna verde e arida a tratti, dalla cima lo guardava sprezzante per deriderlo. Il vecchio ogni tanto alzava il capo per guardarla negli occhi ma lo sguardo veniva annebbiato dalle lacrime di sudore che scendendo andavano ad inzuppare il manubrio.
Aveva percorso quella strada erta e difficile già un'altra volta ma con un passo forte e gagliardo aveva irriso il monte senza degnarlo di uno sguardo; ora dopo così lunghi anni sentiva il pugno della salita dritto allo stomaco e per quanto spingesse sui pedali aveva la sensazione di rimanere fermo, ma per nulla al mondo avrebbe desistito.
Si concentrò allora sul ritmo che aveva preso il battito del cuore, pulsava così forte da non fargli sentire il fiato e il fracasso del bosco che gli si girava intorno. 
Il sole che si era appoggiato sulla cima della vetta, ora era così a picco che l'ombra del vecchio stava nascosta tra la catena e le due ruote.
Era estate e la giornata afosa si era arrampicata sino al passo. La moglie i figli ed i nipoti lo avevano scongiurato di non fare pazzie e rinunciare a quella stupida promessa fatta anni addietro. Ma il vecchio ormai ottantenne non volle sentir ragioni. E preso in disparte il più giovane dei suoi figli, lo convinse a tenere a bada gli altri perché nulla lo avrebbe fermato.
Enrico guardò il padre allontanarsi invidiandone il coraggio e comprese che l'epilogo di un libro deve essere scritto solo dal suo autore ed è inutile prolungare la trama solo per riempire altre pagine quando ciò che dovev essere detto già stava scritto.
La strada che sino poco tempo prima era stata presa d'assalto da mezzi di ogni genere, con lo scattare del tocco si era completamente liberata. I più si erano fermati a pranzare in un prato o presso qualche trattoria che aveva da tempo assediato il panorama. Solo il cigolio granuloso della catena attraversava i tornanti che si schiacciavano l'uno sull'altro, mentre la natura serenamente s'era sdraiata a guardare il nulla e ad ascoltare il niente.
Il vecchio girava sui pedali ormai da due ore, quando il cielo incominciò a turbarsi. L'uomo alzando il capo vide le nuvole che arrotolandosi disegnavano volti di persone che avevano in qualche modo segnata la sua vita. I profili di uomini e donne si andavano mescolandosi come i sentimenti che trascinavano con loro. Era un continuo sobbalzare di umori: dalla gioia al risentimento, dalla sorpresa all'indignazione, ma tutti portavano con sé una grande malinconia; il tempo era passato, trascorso spinto da quel vento che non si può fermare, né dal quale ci si può difendere. Abbassò allora il capo, troppo amaro era quel calice e lasciò che il bosco di conifera lo rinfrescasse con il suo corrergli appresso, quando lo sguardo inondato dal sudore e non solo da quello, cadde tra i cespugli che ornavano i solidi tronchi dei pini. Tra il luccichio delle foglie ed il brunire del muschio, spuntavano due imperiose corna ramificate.
Il vecchio per nulla sorpreso, indagò con la curiosità di colui che già conosce ogni risposta e vide sortire, forte ma docile nel contempo un cervo enorme. Aveva il pelo bianco e con il muso chino procedeva lento; sembrava quasi che il peso delle corna lo schiacciassero, ma il resto del corpo mostrava ancora una muscolatura potente e solida. L'animale abbandonato il branco stava risalendo il passo per trovare un luogo dove lasciare la sua vita nelle mani del tempo.
L'uomo vedendo gli occhi tristi e grandi del cervo, comprese che il destino li stava conducendo alla medesima meta e la cosa non lo turbò, anzi ne rimase soddisfatto, tanto che quando la strada si faceva meno astiosa e la sua velocità di conseguenza aumentava, tirava i freni per non lasciarlo indietro.
Ma i loro cuori battevano all'unisono e le loro anime si scaldavano insieme al tiepido sole dei ricordi. Il vento incominciò ad alzarsi, correndo dalla cima del monte giù verso la valle, bizzoso circondava i due nuovi amici deridendone la fatica e arruffandosi tra i capelli dell'uno e tra il pelo muschiato dell'altro, ma nulla li avrebbe potuti distrarre.
I profumi si fecero sempre più acri e forti e gli alberi del bosco rimasti lontani erano ormai invisibili, laggiù dove la vita è ancora la vita e dove il mondo è solo terra e acqua e null'altro. Davanti loro s'allargavano ora i grandi nevai preannunziando i ghiacci eterni delle cime.
Ma maligno dietro una roccia ben levigata e circondata da un acquitrino melmoso, una lancia di fuoco esplose trapassando il collo dell'animale. Come se nulla fosse il grande cervo proseguì imperturbabile, poi tra lo sgomento di uno sguardo rivolto al cielo, cadde di schianto. Fu un attimo e il vecchio buttata la bici sul ciglio della strada, si gettò sull'animale quasi volesse proteggerlo da ciò che era già avvenuto.
L'orizzonte si spense e le nuvole che erano rimaste appiccicate al firmamento, scesero per cancellare il profilo del mondo.
I due allora si guardarono con una intensità che non celava retoriche né difese. L'uomo avrebbe voluto caricarselo sulle spalle e con quel fardello sciocco risalire sino a dove il cielo occupava per intero l'orizzonte. Si rialzò e prese l'animale per le zampe posteriori, ma il peso era tale da rendere impossibile qualsiasi movimento. Rassegnato non gli rimase che coricarsi al suo fianco, appoggiando il volto sul suo collo.
Sentiva il respiro spegnersi mentre i flutti rossastri del sangue gli inzuppavano lo sguardo. Il sangue scendeva occupando per intero il corpo dell'amico e del vecchio che a quel tepore dolcemente si addormentò.
Il cacciatore preso coraggio uscì allora dalla sua tana e annaspando con il fucile che minaccioso tagliava la nebbia, s'avvicinò ai due per strappare alla bestia il trofeo che portava sul capo. Ma il sangue congelandosi aveva formato su di loro una protezione inattaccabile e la consistenza era tale da non dare la possibilità di distinguere dove stava l'uomo e dove l'animale.
Il bracconiere indispettito dette un calcio a quel piccolo promontorio e giratosi, messa a riposo l'arma, s'allontanò infilandosi tra le nuvole che avevano ormai preso possesso del cielo e della terra.
Quella notte il vento che aveva portato lontano i profumi della vita s'acquietò e la luna confondendosi con i crepacci s'appoggiò lieve sul mondo.
All'alba del giorno appresso, i colori sbucati dalle nebbie del primo mattino, si riflessero sul ghiaccio che aveva ricoperto per intero il piccolo promontorio. E i cirri spinti dalla tramontana si aprirono mostrando la terra nella sua interezza e in cima alla vetta tanto bramata dal vecchio ecco come per incanto, ergersi il piccolo promontorio.
Ora i due avrebbero potuto vivere là dove la morte non è altro che la vita.

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